ECO POSTURALE E NEURONI SPECCHIO
Leggendo alcune riflessioni sull’empatia, mi è venuto in mente il saggio di un etologo, per me mitico, che ho molto letto durante la mia adolescenza. Il suo nome è Desmond Morris e studiò il comportamento degli uomini come fossero scimmie; uno dei suoi lavori più celebri si intitola infatti ”La scimmia nuda”. In un altro saggio interessantissimo, “L’uomo e i suoi gesti”, definisce il concetto di ‘eco posturale’.
Osservando il comportamento della specie umana, infatti, Morris notò che più affinità c’è tra le persone che stanno dialogando, più i loro comportamenti posturali, mimici e psicologici, si somigliano.
Mi stupirono le fotografie che corredavano le pagine dei suoi studi e i posizionamenti, sempre più simili col passare del tempo della conversazione, fra persone che, poco a poco, entravano in sintonia.
Accavallamenti di gambe, identici posizionamenti delle braccia, stesse movenze; accadeva in luoghi disparati anche aperti e rumorosi. Sembrava (beh quella era la mia sensazione di adolescente curiosa e sognante) che i due corpi entrassero in una bolla atemporale in cui si instaurava la relazione perfetta, anche se momentanea, tra due individui che si scambiavano energie.
Passai ore a guardare quelle foto e giunsi alla conclusione che l’essere umano ha una capacità innata di empatizzare con il prossimo e che, in fondo e nonostante tutto, il ponte per arrivare a quella sensazione era costruito in modo naturale dal desiderio di scambiarsi reciprocamente sensazioni ed emozioni. Forse avevo intessuto troppi merletti su quelle foto e su quegli studi che non volevano essere filosofici o sociologici, bensì semplicemente comportamentali; cionondimeno non ho perso, nel tempo, la volontà di cercare il filo del ‘sentimento dell’altro’, la capacità innata di ‘provare con l’altro’.
Qualche anno più tardi, mi imbattei in una scoperta fantastica! Un team di scienziati dell’Università di Parma, capitanato da Rizzolatti, scoprì i “neuroni specchio”.
Embè?!
Un momento, raccolgo le idee e cerco di spiegare!
Nel nostro cervello esistono delle aree in cui pascono indisturbati dei neuroni che hanno una missione piuttosto bislacca: sentono, come fosse proprio, il comportamento di colui che sta osservando. Faccio un esempio banale: io afferro una caramella succulentissima, la mangio, gustandola con immensa soddisfazione. Finita la caramella, continuo ad osservare la scatola. Mentre sto lì a pensare se è il caso o no di ingurgitare altre calorie, mia sorella affonda la mano nella scatola e ne prende un’altra!
A parte il risentimento nei suoi confronti, infatti era l’ultima caramella rimasta, nel mio cervello si attivano quei neuroni che danno l’avvio al movimento e precedentemente avevano fatto in modo che io afferrassi la mia caramella. Quei neuroni si trovano in aree del cervello preposte a dare l’impulso motorio, o aree pre-motorie. Ma è l’impulso pre-motorio nostro, mica di quella persona che ci sta di fronte!
Com’è possibile che io attivo le aree del cervello che servono a darmi l’impulso di prendere la caramella se sono immobile e, invece, a muoversi è mia sorella che, tra l’altro, mi sta rubando l’ultima caramella succulenta?
Qui i conti non tornano, non solo quelli delle caramelle!
Rizzolatti e il suo team scoprono dunque che ci sono aree del cervello che si attivano per dare l’input all’azione ma le stesse aree si attivano quando una persona che ci sta di fronte, compie un gesto per noi significativo. Ma il nostro corpo resta immobile. Ne deduciamo che noi (ma anche le scimmie) abbiamo un cervello strutturato in modo tale da percepire, come fossero nostre, le azioni dell’altro!
Tutte queste belle notizie mi fecero pensare che gli studi di Desmond Morris fossero l’inizio di un nuovo approccio e mi fecero capire che non mi sarei mai liberata dal tarlo della compartecipazione attiva dei gesti e delle facoltà innate di cooperazione, intesa come: “io ti vedo e ti sento, io partecipo ai tuoi gesti, io sono anche i tuoi gesti!”.
Gesti, appunto: alla base dell’apprendimento c’è l’azione, oggettiva ed esperienziale, questa è la nostra conoscenza.
Allargherò ulteriormente il campo ma non vi spaventate!
A pagina 205 del libro “Dalla mano alla bocca”, Michael Corballis scrive: “Un’area del lobo parietale sinistro del cervello umano, vicina all’are di Wernicke e forse anche in parte sovrapposta, sembra riservata all’immagazzinamento di programmi destinati ad eseguire azioni complesse, comprese quelle manuali. Di fatto quest’area sembra far parte del sistema dei neuroni specchio umani…”
Mi rendo conto, ho esagerato! Però ci vuole un attimo di pazienza, quell’attimo che ci incoraggia ad andare avanti perché ci rendiamo conto che il discorso, per quanto complesso, ci affascina e ci può portare ad addizionare molte esperienze, portandoci lì, dove avevamo cominciato.
L’area di Wernicke, così come quella di Broca, sono quelle aree del nostro cervello che sottintendono alla formulazione del linguaggio, sia parlato che mimato. Tutte e due le aree sono implicate dall’azione dei neuroni specchio. L’area di Wernicke , così come altre, è interessata nel complesso movimento manuale.
La tesi di Michael Corballis dimostra che l’uomo ha cominciato a parlare per liberarsi le mani dai gesti del linguaggio visivo e a quel punto ha affinato le tecniche litiche e quelle artistiche. In questo è d’accordo con alcune dichiarazioni di Rizzolatti che infatti riporta nel suo libro: “[Giacomo Rizzolatti] afferma che l’importanza dell’area di Broca nell’evoluzione del linguaggio non è data dal suo coinvolgimento nei movimenti della bocca e del viso ma dal fatto che è servita a mettere in corrispondenza i movimenti delle mani compiuti da altri con i movimenti delle mani generati dall’osservatore. Il linguaggio, sostiene Rizzolatti, nasce dai gesti manuali […] I movimenti della bocca e le vocalizzazioni furono cooptati in seguito forse, in parte, perché i primati usarono i gesti della bocca insieme a quelli manuali come forma di comunicazione intenzionale”.
Abbiamo appreso che: 1) le aree del cervello in cui osserviamo i neuroni specchio, sono le stesse o contigue a quelle del linguaggio; 2) le aree del linguaggio sono le stesse dei movimenti manuali; 3) l’apprendimento nei primati è veicolato dall’azione e dalle esperienze, nostre e dei nostri simili in una corrispondenza speculare.
Quel gesto di afferrare la caramella dato da mia sorella e la mia risposta cerebrale, sono alla base della nostra evoluzione. Non soltanto io vedo che lei afferra la caramella ma sento che quel gesto è anche il mio, che fa parte della mia esperienza, fa parte di me.
Viene proprio facile pensare, dopo tutte queste parole, che noi siamo specchi infiniti, echi di esperienze, programmati per essere all’unisono.
L’idea che mi viene in mente, nonostante la realtà ce ne discosti, non è quella della divisione dei singoli per far eccellere alcuni attraverso la competizione, bensì la constatazione che l’evoluzione è avvenuta attraverso l’istinto di osservare e sentire l’altro, attraverso una cooperazione biologica.
Hai capito Desmond Morris!? Dall’osservazione dei primati senza peli, cioè l’uomo, aveva intuito tutto!
Foto di Barbara Artemis