Qual è la terza via?
Prima di rispondere a questa domanda, dovremmo analizzare i motivi per cui mi sento di escludere la prima e la seconda via dal mio ragionamento e spiegare in cosa consistono.
Studiando la storia, fin da bambini, abbiamo imparato che le prime civiltà avanzate hanno generato, come fattore intrinseco e naturale, organizzazioni sociali di stampo verticistico e piramidale.
Abbiamo imparato che il motore di questa “civilizzazione” fu dovuto allo stato stanziale delle popolazioni per mezzo dell’utilizzo dell’agricoltura con tutte le innovazioni che hanno seguito questa rivoluzione, nonché al cambiamento di prospettiva sia sociale che tecnologica.
Abbiamo studiato che l’agricoltura nasce nella mezzaluna fertile, a ridosso dei fiumi Tigri ed Eufrate, datori di fertilità e vita.
Non c’è dubbio, questo è vero, fino a prova contraria (anche se sarebbe difficile smentire analisi piuttosto precise, realizzate con tecnologia avanzata come il radiocarbonio). Quindi, circa diecimila anni fa, il medio oriente, la Palestina (Gerico), fino all’Anatolia (Katal Huyuk), sono stati protagonisti della rivoluzione umana più importante, un’evoluzione che ha cambiato in positivo le prerogative di vita della razza umana.
Ci hanno raccontato, con più parsimonia che, contemporaneamente (o quasi), questa rivoluzione avveniva anche in altri luoghi del mondo. Ottomila anni fa, all’incirca, anche il Messico e le Ande hanno imbrigliato i segreti della Natura (volutamente maiuscolo, saprete perché!) attraverso
la coltivazione del mais e della patata. Novemila anni fa, in Cina, il riso è stato addomesticato dagli autoctoni (o dalle autoctone!): “[in Cina] Dapprima l’agricoltura si è affermata nel nord circa 9000 anni fa, nella zona intorno alla vecchia capitale di Xian, dove sono stati scavati di recente interi villaggi neolitici, molto grandi, che vivevano soprattutto di miglio. In questa zona le donne erano particolarmente in onore, tanto che gli archeologi cinesi hanno avanzato l’ipotesi che siano state le donne a sviluppare l’agricoltura. E’ una buona ipotesi perché tra i caccaitori-raccoglitori in genere gli uomini hanno la responsabilità della caccia e le donne della raccolta: erano dunque le donne a conoscere le piante che normalmente raccoglievano e a trarre il maggior vantaggio dall’avere i campi in cui coltivare vicino alle case” (Luca e Francesco Cavalli-Sforza, “Chi siamo”). Queste considerazioni sono state applicate da altri studiosi anche alle rivoluzioni agricole degli altri continenti.
Ops, siamo giunti a quel momento del discorso in cui ci si sente spiazzati e confusi!
Ci hanno raccontato, per millenni, che la donna non ha avuto un ruolo attivo nella determinazione della crescita tecnologica, culturale e sociale.
Ci hanno raccontato che i più importanti eventi di crescita ed evoluzione dell’uomo come specie, fossero appannaggio esclusivo del sesso maschile. Come vedremo, nuovi studi archeologici e nuove indagini genetiche, smentiscono questa teoria, ponendo la donna in una dimensione di co-evoluzione culturale e sociale, determinata da una differente strutturazione dei ruoli uomo-donna nelle società Paleolitiche e Neolitiche.
Mi rendo conto di essermi dilungata su argomenti accademici e noiosi ma è importante capire l’origine e il ruolo del passato per costruire il nostro futuro. Poi mi permetto di sottolineare che questi cenni storici hanno una funzione semantica che tende a stabilire nuove connessioni di significato. Apprendiamo la storia da una prospettiva diversa, bistrattata, non considerata, resa muta da millenni di dominazione culturale di stampo patriarcale.
Fatte queste considerazioni, posso finalmente parlare di cosa intendo per prima e seconda via e quindi rispondere alla domanda iniziale: qual è la terza via?
La prima via è quella del patriarcato, una organizzazione sociale di tipo piramidale con un re al vertice, a volte un sacerdote, che aveva funzioni liturgiche e governative.
Gli esempi di patriarcato si perdono nella notte dei tempi; da quando l’uomo ha codificato i pensieri, le immagini e le idee attraverso la scrittura, la nostra specie possiede una storia. Questa storia ci racconta che i primi agglomerati urbani, le prime città-Stato, i primi incunaboli di ciò che definiamo società, sono stati benedetti da un uomo che dominava con la coercizione i suoi sottoposti; amministrava con la forza della spada (oggetto considerato in senso metaforico e non precisamente storico) i suoi territori. Che fosse il re scorpione egizio, il re sumero o babilonese, quello della dinastia Xie o Qin, che fosse il rappresentante della casta dei sacerdoti che esercitava ambedue i poteri, spirituale e temporale, o che fosse un membro dell’aristocrazia, era comunque un uomo, eletto con pratiche politiche non particolarmente illuminate e democratiche, che operava il suo potere attraverso la forza.
Lo studio della storia, nella maggior parte dei casi e per la maggior parte del tempo, ha avuto come protagonisti gli uomini. Da loro provengono le idee, a loro sono stati affidati fino a poco tempo fa, gli scavi archeologici, a loro sono rivolti gli studi. Il mio ragionamento, lo dico per chiarezza, non vuole essere un attacco al sesso maschile, né annoverarsi nella folta schiera della critica femminista, spesso appropriatasi di strumenti e modi androcratici per sancire una supremazia, spesso non voluta, o anche solo una eguaglianza ancora lontana dalla realizzazione.
Vorrei però sottolineare che è stata esclusa dallo studio storiografico, ad eccezione di qualche mera menzione di carattere minoritario, una parte dell’umanità, esattamente quella mezza parte che si definisce femminile. E non soltanto si è sminuita la rilevanza delle donne nella storia ma si è escluso lo spirito, la funzione, la prospettiva, la visione del femminile, nella storia! La rivendicazione di questa assenza non è rivolta all’affermazione di quella specifica metà della popolazione umana, in senso puramente politico e sociale; piuttosto vuole inglobare una prospettiva depotenziata, defraudata della capacità di ricchezza che avrebbe potuto apportare alla visione storica e alla definizione di società.
Ho insistito su questi concetti perché la seconda via, quella del matriarcato, inteso come solitamente si intende ancora oggi, sbagliando, non può essere la risposta; piuttosto si configura come una organizzazione sociale che riproduce le stesse funzioni e gli stessi intenti della “prima via”. Dunque, quando si parla di matriarcato si pensa che la donna abbia, in un passato remoto ancora da comprendere, semplicemente sostituito l’uomo nella gestione del potere politico e nella eredità del nome e dei beni. Questo probabilmente accadde in alcune zone del pianeta a causa di contaminazioni culturali; così ci si ritrova a ripetere lo stesso modello sociale con la sostituzione uomo-donna.
Quando la terra e il fango restituirono agli archeologi, in diverse parti del mondo, dei reperti che attestavano una configurazione sociale e politica diversa da tutto quanto la storia ci aveva insegnato; quando non si poté annoverare quei reperti nel vasto mondo delle guerre per il potere, rappresentati da simboli quali la spada, le sepolture di uomini potenti attestanti il loro ruolo primario; quando gli scavi fecero riemergere, invece, statuette femminili, sepolture a forma di utero, simboli appartenenti alla Natura, gli studiosi ritennero che dovevano far parte di una società matriarcale. Ma l’errore che si fece fu “concludere che nella società in cui l’uomo non dominava la donna, era la donna a dominare l’uomo” (Riane Eisler, Il calice e la spada).
Abbiamo appreso, invece, che quelle epoche remote, il cui ultimo baluardo fu la Creta minoica, non disegnavano una supremazia della donna sull’uomo, bensì il rispetto reciproco, una partnership che rifiutava il dominio, la lotta costante, una rigida gerarchia.
Questa è la terza via, un luogo dello spirito in cui riporre il destino dell’uomo. Se il paradigma del patriarcato o dell’androcrazia ha illuminato solo una porzione di verità, il nostro compito, il compito delle donne contemporanee e consapevoli, è quello di spostare l’attenzione su quella alternativa che il mondo, fino ad oggi, non ha voluto vedere. Il nostro compito risiede nella volontà, divenuta quasi un dovere, di illuminare quella parte di storia che scalpita per essere riconosciuta.
Il mito di Atlantide e i ricordi dell’età dell’oro punteggiano, come un grido disperato, gli scritti di poeti e storiografi di un tempo remoto, indecifrabili e ormai difficili nella piena comprensione storica, però nella filigrana si intuisce la verità che si cela dietro, quella verità avallata dai documentatissimi studi archeologici della Gimbutas. Ebbene, anche se arduo, azzardato e non convenzionale, questo approccio, secondo l’opinione non mia ma di molti studiosi che abitano la Terra, si rivela uno dei migliori percorsi che si possano intraprendere. Lasciamo che le radici del nostro passato ancestrale rinvigoriscano la pianta, ormai consunta, del nostro presente. Abbandoniamoci con il cuore e la mente, con l’intuito e la conoscenza, col desiderio e la convinzione, alla scoperta del potenziale che si prefigura come una speranza.
Questa terza via, la via delle donne, lega il passato e il presente, lega le donne fra loro, lega gli uomini alle donne in un intento di cambiamento e pace, sotto l’egida del rispetto. Rispetto per la Madre Terra, per gli esseri umani, per gli animali, per la varietà delle piante, per l’immensa bellezza abbagliante del creato.
Questo è l’inizio, l’unica via disponibile per salvarci dalla dissoluzione, dal torpore morale in cui siamo precipitati. Beh, dopo la manfrina storica, gli scenari apocalittici e il momento di intrinseco romanticismo, sotto l’ala bizzarra dell’esagerazione, climax esistenziale, sollecito il lettore di dotarsi di una buona dose di pensiero positivo; lungi dal dipingere a tinte fosche la tela del ragionamento, vi e mi esorto a curare la depressione e la pressione odierne con una buona dose di meravigliosa leggerezza o detta con Calvino avviamo “la ricerca della leggerezza come reazione al peso di vivere”.
Immagine iniziale di Brabara Artemis
Condivido assolutamente. Leggi anche Teresa Forcades sull’amato pericoresi dell’amore
Grazie Antonio, lo leggerò senz’altro!