Kurgan – prima parte
C’era una volta una popolazione guerriera, composta da uomini alti, robusti e con la mascella volitiva.
Questi uomini forti e puri, vivevano in un luogo difficile, dal clima rigido e dalla scarsezza di cibo. In questi luoghi di cui parlo, abitati dagli individui nerboruti e prepotenti, c’era freddo glaciale in inverso e caldo secco e penetrante in estate.
Reminiscenze scolastiche ci aiuteranno a capire di quali luoghi inospitali parlo, soprattutto considerando che da lì spesso si abbatterono orde irrazionali e terrifiche che hanno cambiato il corso degli eventi, in Europa e altrove. Parlo delle steppe asiatiche, immensi luoghi che comprendono più regioni, ampi spazi di nulla cosmico, punteggiati, ai margini, da una selva fredda.
La popolazione guerriera dalla mascella volitiva, si stupì nel ritrovarsi improvvisamente (passatemi la licenza poetico-cronologica) ad abitare proprio in quei luoghi deprimenti e difficili. Non era stata una sua scelta, ci si era ritrovata; era lì già da un po’ quando il clima cominciò a cambiare, quando il tempo diventò sempre più secco e le temperature impossibili, tanto da far pensare ad una punizione divina.
Tutto nacque dal fatto che i millenni successivi alla fine dell’ultima glaciazione, portarono ad un riscaldamento generale e al cambiamento dei microclimi. Gli uomini, le donne e gli animali che vivevano in quei territori, conquistati da un tempo relativamente recente perché prima erano invasi dai ghiacci, si sbalordirono nel constatare che forse era giunto il momento di spostarsi nuovamente.
Prima della migrazione però scorse quel tempo sufficiente per fare in modo che la cultura di queste popolazioni si incancrenisse in una poco simpatica società pienamente androcratica (dominio dell’uomo), patriarcale, prepotente, violenta e con il culto di un poco simpatico dio del cielo splendente, sprezzante verso le donne e propenso a lodare i guerrieri più valorosi.
Al grido di “Basta, bisogna partire”, gruppi sparsi di Kurgan, ah è questo il loro nome, cominciarono ad abbandonare le steppe verso varie direzioni. L’impatto con le civiltà che incrociarono nel loro cammino, fu devastante.
“L’inaridimento delle steppe durante il VI – V millennio a. C. avrebbe costretto i popoli di pastori a lottare per più ampi terreni da allevamento che diventavano sempre più improduttivi” Joan Marler, Le radici prime dell’Europa. Ciò implicò una costante necessità di lottare per la terra e difendere gli spazi riservati alla pastorizia. Il connubio tra clima meno ospitale, inaridimento del territorio, lotta costante per il dominio sulle terre, portò i Kurgan a diventare molto aggressivi e convinti del principio della supremazia attraverso la forza. Le implicazioni riguardarono anche la posizione della donna all’interno della società kurgan: il principio femminile venne assolutamente marginalizzato. Nei luoghi dove la grandezza si misura esclusivamente attraverso prerogative fisiche come il vigore e la possanza, non può esserci spazio per la donna, indicata solo come compagna del guerriero e procreatrice.
Posso immaginare la frustrazione di questi individui nello scoprire che avrebbero dovuto camminare tanto per trovare verdi vallate e climi più vivibili. Immaginate, però, anche la frustrazione e il nervosismo misto a sconcerto delle popolazioni che subirono la loro invasione, nell’appurare che quei signori belli, alti e determinati, avrebbero spazzato via la loro civiltà. Questa civiltà prestorica fu definita, dall’archeologa Gimbutas, civiltà della Dea ovvero civiltà dell’Europa antica.
Tra il 4500 e il 2500 a. C. i Kurgan, altrimenti detti proto-indoeuropei o Yamna, si abbatterono in Europa, nel Caucaso e in India come un enorme meteorite impazzito, creando un’onda d’urto vastissima su una moltitudine di regioni e cambiando per sempre il volto delle società antiche, ormai ampiamente appurato fossero matrifocali e agricole.
Ho descritto il sentimento provocato da questa invasione, nell’articolo “La distruzione”, adesso vi descrivo, attraverso la lente di diverse discipline scientifiche, la loro storia, la nostra storia.
Antropologi, archeologi, linguisti e genetisti, si sono accapigliati con estremo vigore e tantissima passione (ho temuto si prendessero a calci o schiaffi ma per fortuna ha prevalso la saggezza!) per definire una volta per tutte chi sono questi stramaledetti Kurgan (io uso la terminologia di Gimbutas dunque li chiamo kurgan), la loro provenienza precisa, la loro lingua, la loro cultura e addirittura la loro esistenza.
Un groviglio che non vi dico! Smentite a suon di paroloni, indagini al radiocarbonio in vece di uno scappellotto; tirata d’orecchie ai genetisti che osano intromettersi nel glorioso lavoro degli archeologi; smorfia di sufficienza ai danni dei geologi che osano parlare del Mar Nero senza avvertire la polizia e disfunzioni comportamentali al solo suono della parola mito (l’archeomitologia fu la disciplina inaugurata da Gimbutas per operare al meglio nello studio del sostrato culturale).
Non so se si metterà mai un punto definitivo su questo argomento, però oggi siamo sicuramente in grado di dare delle risposte che giungono da più parti. Si sa, alcuni paludati studiosi non vedono molto di buon grado l’intromissione di altre scienze nella propria; a me invece sembra il modo migliore per guardare un problema nella sua interezza, non a compartimenti stagni. La multidisciplinarità è il mezzo più consono per giungere al risultato.
I risultati degli ultimi anni, in effetti, danno ragione all’ipotesi Kurgan, alle ondate continue di indoeuropei (per carità non parlo di lingua indoeuropea, ho paura che mi pestino!) in vasti territori, in Europa e ad est. Questi gruppi di guerrieri-pastori si mossero in tre invasioni massicce dalle steppe del Volga e dal Caucaso, portarono il cavallo addomesticato, potente mezzo di trasporto, le sepolture a tumulo (chiamate kurgan), una divinità maschile e poco malleabile, probabilmente la poligamia (solo maschile ovviamente) e una società strettamente gerarchica.
Cosa ci ricorda questo schema? Mi pare di scorgere l’impostazione piramidale di tutte le società storiche di cui abbiamo traccia.
E cosa c’era prima? Prima c’era il silenzio, il silenzio della pace.